I resti etruschi

tracce millenarie che hanno superato secoli di trasformazioni 

Da tomba a magazzino di argilla

La cavità sotto il pavimento della seconda stanza del percorsi di visita ha subito continue modifiche nel corso dei secoli, come gran parte dei sotterranei e delle abitazioni di Orvieto.
Lo scavo, infatti, ha la tipica forma del giaciglio di una tomba etrusca, ma la vaschetta centrale ed i fori laterali hanno fatto pensare, al momento del ritrovamento, che sia stato trasformato agli inizi del Medioevo in un follone, ossia un macchinario utilizzato per rendere più compatti e morbidi i tessuti.
L’unica cosa certa è che, nei secoli successivi, divenne il deposito di creta della fornace sovrastante, come testimoniato dagli spessi strati di argilla ritrovati durante lo scavo.

Le tracce delle sepolture rupestri

Le ultime due grotte del percorso, riportate alla luce nel 2002, presentano un’infinita serie di riutilizzazioni e trasformazioni che rendono difficilissimo interpretarne sia l’uso originario che le successive modifiche.
La presenza di due nicchie con una vaschetta laterale, una in questa grotta e una nella successiva, fanno pensare che si tratti dei resti di una necropoli rupestre; strutture praticamente identiche si trovano infatti nelle tombe più antiche di Norchia, nel Lazio, che hanno anche altre analogie con queste grotte, come i solchi orizzontali lungo le pareti e una moltitudine di fori passanti attraverso il tufo.
L’eccezionalità di questa scoperta sta nel fatto che fino a qualche anno fa non erano mai state rinvenute, nel nostro territorio, sepolture risalenti al primo periodo di permanenza degli Etruschi ad Orvieto.

La cisterna a “cocciopesto”

Dall’interno della quinta grotta è possibile osservare una grande porzione di una cisterna per la raccolta di acqua piovana, tagliata nel Medioevo per realizzare la scala di accesso al “sottocantina”.
Questo grande serbatoio è etrusco (V – IV sec. a. C.), come si può desumere dall’intonaco impermeabilizzante ancora visibile sulla parete interna, realizzato con la tecnica del “cocciopesto”, ossia impastando calce e frammenti di terracotta finemente triturati.
L’acqua veniva raccolta dai tetti e, attraverso dei tubi in ceramica come quelli esposti sul fondo della cisterna, raggiungeva il serbatoio dopo aver attraversato uno strato di materiale filtrante.
Per aumentare la salubrità dell’acqua piovana molte famiglie allevano delle anguille all’interno delle cisterne; oltre a tenere in movimento la riserva idrica ed a mangiare le larve delle zanzare, i lunghi pesci, che crescevano ciechi e bianchissimi, erano anche un’ottima fonte di proteine

I cunicoli per l’acqua

Il sottosuolo di Orvieto è solcato da una fitta rete di cunicoli etruschi per raccogliere l’acqua delle infiltrazioni.
Un esempio si trova in fondo al pozzo, mentre un altro si trova di fronte all’uscita del percorso di visita ed era originariamente in comunicazione con i sotterranei di Palazzo Filippeschi.
Entrambi presentano lo stesso orientamento e la stessa struttura, con un piccolo solco visibile nel pavimento per convogliare l’acqua verso i punti di raccolta.
La singolarità dello scavo di questo secondo cunicolo è rappresentata dal fatto che il canale scende lungo la parete di tufo, invece di prolungarsi verso il centro di una cisterna, come solitamente avviene in strutture etrusche analoghe.

Curiosità

  • Non devono sorprendere le continue trasformazioni subite dai sotterranei. La collocazione di Orvieto su di una rupe, infatti, se da una parte aumenta la sicurezza in caso di attacchi esterni, dall’altra impedisce alla città di potersi espandere. Questo ha fatto sì che gli abitanti si siano continuamente ingegnati per creare nuovi spazi, sia sacrificando le aree verdi, sia riutilizzando i sotterranei a disposizione, spesso cancellando quasi completamente le tracce del passato.
  • Tra i vari usi di queste cavità, ricordiamo che durante la seconda guerra mondiale il cunicolo dell’ultima grotta e le stanze collegate sono state utilizzate come rifugio antiaereo, poiché davano la possibilità di disporre di diverse vie di fuga a più livelli e in più direzioni.

Il Complesso Archeologico del Pozzo della Cava è stato inserito nel 2023 all’interno del Global Network of Water Museums del programma UNESCO-IHP, poiché custodisce ritrovamenti che testimoniano gli sforzi per la ricerca, la raccolta e la conservazione dell’acqua per un arco temporale di oltre 25 secoli. 

L’acqua piovana

Il principale ritrovamento del Complesso Archeologico del Pozzo della Cava legato all’acqua piovana è senza dubbio la cisterna etrusca. Il taglio realizzato nel Medioevo per scavare la cantina sottostante consente di ammirare questo grande serbatoio in sezione, mostrando la parte destinata al filtro, in alto, e il sottile e resistentissimo intonaco a “cocciopesto”, sulle pareti e sul fondo.
Una notevole testimonianza che da oltre 2500 anni ci ricorda quanto sia importante raccogliere e conservare l’acqua, specie in una città costruita su di una rupe e sprovvista di sorgenti superficiali.