Le fornaci
la ceramica orvietana tra medioevo e rinascimento
Il laboratorio medievale
Il primo locale del complesso archeologico del Pozzo della Cava è stato utilizzato dal XIII al XVI secolo per la lavorazione della ceramica.
Sono visibili diversi scarti della fornace, gettati perché presentavano difetti di forma o di decorazione. Accanto ad alcuni reperti sono esposte delle ricostruzioni, con lo scopo di mostrare l’aspetto originario dei manufatti.
Una parte della stanza, scavata direttamente nel tufo e resa bianca dalla prolungata esposizione ad alte temperature, era il forno del laboratorio di ceramica, anticamente la camera di cottura era delimitata da un muro di blocchi di tufo e mattoni refrattari che veniva parzialmente distrutto e ricostruito ogni volta, per consentire di infornare e di sfornare i manufatti.
È ben visibile anche l’inizio della canna fumaria, che prosegue in alto con una piccola grotta che fungeva da valvola di sfiato per raffreddare il forno e per convogliare il calore verso le stanze in cui gli oggetti in argilla fresca venivano lasciati ad asciugare.
La muffola rinascimentale
La struttura rinvenuta sotto il pavimento della settima stanza costituisce la base di una muffola, ovvero di una fornace utilizzata per la terza cottura della ceramica.
A differenza del forno medievale (scavato nella roccia ed usato per la prima e la seconda cottura dei manufatti), questa piccola fornace era interamente costruita con mattoni e blocchi di tufo non murati, secondo lo schema del forno a riverbero di cui parla Cipriano Piccolpasso nella sua opera «I tre libri dell’Arte del Vasajo» ed in uso nel centro Italia tra il Quattrocento ed il Cinquecento.
I prodotti della terza cottura, o “terzo fuoco”, erano i cosiddetti oggetti “a riverbero” o “a lustro”, ossia le pregiate ceramiche rinascimentali famose per l’iridescenza dei colori e la bellezza dei riflessi, paragonati a quelli dell’oro e delle pietre preziose.
Sono visibili anche alcuni frammenti lustro e numerosi utensili originali del laboratorio.
I reperti in ceramica
Una sintesi dei frammenti rinvenuti nelle due fornaci ed esposti al Pozzo della Cava:
- Ceramica invetriata (fine XIII sec.): l’oggetto veniva dipinto ed immerso nella cristallina, a base di ossido di piombo, prima di essere cotto (920°C circa).
- Maiolica arcaica (XIV sec.): il manufatto, dopo essere stato cotto una prima volta (970°C circa), veniva immerso nello smalto (cristallina con aggiunta di ossido di stagno), decorato in verde ramina e bruno manganese e cotto una seconda volta (920°C circa).
- Maiolica quattrocentesca: stessa tecnica del secolo precedente; al verde ed al marrone si aggiunsero il blu, l’arancione e il giallo. Varianti: a volte si usava un blu a rilievo per la tecnica della “zaffera”, mentre in qualche caso si producevano delle “false maioliche”, sostituendo lo smalto con dell’argilla bianca liquida, detta ingobbio, che, dopo la decorazione, veniva ricoperta di cristallina.
- Lustri (XVI sec): dopo la seconda cottura le maioliche venivano di nuovo decorate con vernici a riverbero d’oro e rosso rubino, poi infornate una terza volta (750°C circa).
Gli utensili
Molto interessanti anche gli utensili originali e i resti dei materiali ritrovati nelle due fornaci:
- Stampi per modellare l’argilla in terracotta e in travertino;
- Arnesi per modellare l’argilla con l’uso del tornio: stecche in terracotta e metallo per la lisciatura e strumenti per incidere la superficie;
- Oggetti per la decorazione della ceramica: ampolline per ossidi da decorazione, campioni di “fritte” per maiolica e sali metallici per lustri;
- Utensili per la seconda cottura dei manufatti smaltati (ceramica invetriata e maiolica): frammenti di case di cottura; chiodi di sostegno e treppiedi in terracotta per distanziare i piatti o le ciotole all’interno del forno.
Curiosità
- La scoperta della prima fornace, avvenuta nel 1985, ha potuto dimostrare la presenza ad Orvieto di una produzione di maiolica anche nel Quattrocento e nel Cinquecento, ritenuti fino ad allora i secoli bui della ceramica orvietana.
- Il rinvenimento della muffola, avvenuto nel 1998, ha aggiunto ancora un’altra interessantissima pagina alla storia della ceramica orvietana, dimostrando l’esistenza una produzione di oggetti a riverbero anche ad Orvieto.
- Lo studio comparato dei frammenti rinvenuti nei sotterranei del Pozzo della Cava e nel resto nel quartiere ha potuto dimostrare che praticamente tutto il lato destro di Via della Cava fu, tra la fine del Duecento e la metà del Cinquecento, un unico grande sistema di fornaci di ceramica, con importanti esportazioni nelle principali città italiane ed estere. Il ritrovamento delle fornaci “cavajole” ha potuto anche far attribuire ad Orvieto numerosi manufatti in maiolica che si credeva, fino a qualche decennio fa, fossero stati prodotti a Viterbo o a Faenza.
Il Complesso Archeologico del Pozzo della Cava è stato inserito nel 2023 all’interno del Global Network of Water Museums del programma UNESCO-IHP, poiché custodisce ritrovamenti che testimoniano gli sforzi per la ricerca, la raccolta e la conservazione dell’acqua per un arco temporale di oltre 25 secoli.
L’acquedotto medievale
Il legame delle fornaci per la ceramica con l’acqua deriva non solo dalla necessità di averne a disposizione per la lavorazione dell’argilla (con ogni probabilità si attingeva alla vicinissima Fonte della Madonna della Cava, l’unica che non ha mai perso pressione ad Orvieto nonostante le numerose e continue rotture dell’acquedotto medievale), ma anche alla cospicua produzione di vasellame in maiolica per il trasporto dell’acqua e di tubature modulari in terracotta per i tratti terminali dell’acquedotto comunale e i sottili discendenti dei tetti, utilizzati per convogliare l’acqua piovana verso le cisterne sottostanti.