I ritrovamenti medievali

le vestigia del passato tra butti, cellai, scantinati e sottocantina

I “butti”

Nei sotterranei del Pozzo della Cava sono visibili alcuni piccoli pozzi medievali: erano dei “butti”.
Ogni abitazione era tenuta, infatti, ad avere uno di questi pozzetti da utilizzare per gettare ossa e rifiuti solidi inorganici attraverso un condotto che partiva dall’abitazione sovrastante.
I butti sono così diventati dei serbatoi di reperti ed il loro ritrovamento è fonte di preziose notizie per storici ed archeologi.
Nelle nostre grotte è possibile osservare sia la tipologia più antica, a forma di fiasco, sia quella più recente, a pareti verticali, provvista di fori per inserire delle piccole travi su cui veniva ricostruito il pavimento, per evitare di caderci dentro.
C’è anche una intera stanza che fu trasformata, grazie ad un foro aperto sul soffitto, in una sorta di grande butto del laboratorio di ceramica: da lì provengono gli scarti di produzione delle fornaci, i frammenti delle differenti epoche e gli utensili originali esposti nella stanza del forno medievale e in quella della muffola.

Cellai, scantinati e sottocantine

Le abitazioni medievali orvietane presentano tre livelli di magazzini: a pianterreno si trova il “cellaio”, completamente costruito in blocchi di tufo e destinato alla pigiatura dell’uva e alla prima fermentazione del mosto; era spesso adoperato come luogo di macellazione, magazzino per i salumi e i cereali, o ancora come stalla o come bottega.
Il primo piano sotterraneo, lo “scantinato”, era invece utilizzato come magazzino per l’olio e le conserve di frutta e verdura, oltre che per la seconda fermentazione del mosto.
La maturazione e l’invecchiamento del vino, invece, avvenivano nei “sottocantina”.
Lungo il percorso di visita del Pozzo della Cava, che si snoda sotto le abitazioni del quartiere medievale, è possibile vedere questa stratificazione di ambienti; in particolare il “sottocantina” medievale è ancora provvisto dalla scala originale con il tipico “scendibotte”, costituito da una coppia di scivoli laterali utilizzati per far rotolare le botti dallo “scantinato” al piano inferiore, dove avveniva l’invecchiamento.
Bisogna infatti raggiungere il secondo piano sotterraneo per avere le quattro caratteristiche fondamentali per una buona conservazione del famoso vino di Orvieto, ossia umidità elevata, temperatura costante tutto l’anno, buio e silenzio.

Il pilastro della torre

Il grande pilastro al centro della sala della muffola è tutto quello che resta di un’imponente torre medievale.
Stando alle informazioni fornite dal trattato storico «Cronica Potestatum», si tratterebbe della torre dei figli di Simone dei Filippeschi, ghibellino, braccio destro del celeberrimo capitano del popolo Neri Della Greca.
Sempre nello stesso trattato si legge che l’intera struttura fu abbattuta nel 1313, quando i Guelfi orvietani sconfissero definitivamente i Ghibellini.
Le lotte tra Monaldeschi (guelfi) e Filippeschi (ghibellini) ebbero così tanta eco nell’Italia medievale da scomodare perfino Dante Alighieri, che cita le due famiglie orvietane nel VI canto del Purgatorio.

Curiosità

  • Fu Papa Bonifacio VIII, allora residente ad Orvieto, che nel 1299 ordinò che ogni abitazione avesse uno di questi pozzetti, in cantina o nel cortile. Voleva infatti far cessare l’abitudine di gettare i rifiuti dalla rupe, sia per evitare infezioni, sia per impedire ad eventuali nemici di poter entrare in città camminando sui cumuli di immondizia.
  • Al momento della costruzione di una casa medievale, ad Orvieto, si iniziava dallo scavo dello “scantinato”, al primo piano sotterraneo, utilizzando il tufo estratto per edificare i piani sovrastanti; si procedeva poi alla realizzazione del “sottocantina”, ancora più in basso. Solo al termine dell’edificazione dei muri portanti si procedeva alla costruzione della volta sopra lo scantinato, utilizzando dei conci in tufo litoide oppure mediante la tecnica detta “a toppa”, ossia poggiando delle bozze irregolari di tufo su un cumulo di legname, per poi realizzare una colata di malta a base di calce e pozzolana. Nella vota a toppa del secondo scantinato del Pozzo della Cava sono ancora ben visibili le impronte dei ramoscelli utilizzati per dare al soffitto la tipica forma a botte.